25/09/11

IL CIMITERO DELLE FARFALLE

Ho appena schiacciato tra le mani una farfalla. Una bella farfalla, non c'è che dire, con le ali dipinte di colori sgargianti in una simmetria sorprendente. Riflettendoci su, è come se questi insetti vivano in tensione mortale tra la bellezza che le tira da un lato ed il tempo dall'altro.
Ora sta sparendo nelle tubature del lavandino; mi ha pure lasciato sulle mani due macchioline bordò – non sapevo che il loro sangue avesse lo stesso colore del nostro. Mi dava fastidio, ecco tutto, ero qui in salotto a studiare e il suo ronzio mi era insopportabile; 'sta cretina non lo sapeva che entrando nelle case della gente si incorre a morte sicura?! Ben le sta; che sia da monito per altre eventuali disturbatrici!

Svolazzano freneticamente le farfalle, come forsennate, non si posano mai; vivranno un giorno solo, e forse inconsciamente già lo sanno: hanno fretta, e se si posano, lo fanno per alcuni istanti, che a loro appaiono un'eternità, poi ripartono subito, non volendo perder tempo, a conoscere il più possibile il mondo. Qualcuna morirà prematuramente, peccando d'inesperienza, forse schiacciata o in pasto ad un ragno; ma per l'esiguità della loro vita non potranno mai comunicarsi tra loro come evitare certi errori: nessuna mamma salverà il proprio figlio dall'orco.
Sono ingenue le farfalle, non commettono errori: vivono e muoiono per istinto, non per cultura.

AUTORE: PRF

LA RIFFA COSMICA




Come ogni essere vivente su questa terra, sono nato innumerevoli volte, ho assunto le forme più diverse, patito ogni possibile passione.
Come tutti gli esseri viventi sono morto. Ripetutamente.
Nascere sempre e morire sempre, non nascere affatto ed essere immortali.
Siamo gli stessi esseri sin dall'alba dei tempi.
Niente, né qui né in altri piani, ha il potere di creare e distruggere, tutto si trasforma da sé.
Fui leone e sciacallo, sono uomo, sarò topo e chissà ancora cos’altro, ma la mia condizione rimarrà sempre, irriducibilmente, precaria: prenderò coscienza di me solo quando non ci sarò e per il fatto che non ci sarò. Così come siamo che viviamo, la saggia storia del mondo, pur dentro di noi, non ci é accessibile, perché l'alito vitale la congela, l'assopisce in un profondo letargo.
Ora soltanto posso rimembrare quando nacqui pulce e dimoravo tra i crini lucenti del leone della Grotta d’Oro sull’Himalaya, la centoquarantatreesima forma in cui il Maestro comparse sulla terra. Magnifico nelle sue movenze da predatore, nelle pause fiere e statuarie tra le canne della pianura, nel mentre del recupero delle forze dopo uno scatto andato a vuoto. La luce emanata da ogni suo singolo pelo e dalla stessa pelle accecava e tingeva tutt'attorno di bianco, che mi sembrava di saltellare nel nulla. Lì dal Maestro conducevo un'esistenza mite, astemia e timorata, la ricerca di cibo non mi preoccupava e la mia anima era nuda e casta.
Presso la Grotta d'oro, il fulgido leone, aveva uno sciacallo come suo servitore, il quale lo serviva e pure riveriva con devozione sincera, ma che un giorno peccò di superbia, e perciò ne morì. Il Maestro fu a guardarlo, dalla sua grotta, mentre soccombeva lì nella valle sotto le zampe di un elefante, dopo aver tentato di cacciarlo, poiché bramoso dell'adrenalina del potere e dunque non più sazio dei comodi pasti procacciatigli dal leone in cambio del suo servizio. Dinanzi a quello scempio, impassibile l'Illuminato recitò questi versi:

 “Si sa già in sé che la morte é l'unica pace,
momentaneo sollievo a questa riffa atroce.
Che il cielo voglia dargli un germe redentore
in unici fugaci attimi di riflessione,
laddove in vita non ne prese concezione”

Noi pulci, zanzare e moscerini, mosche formiche e muffe, tutti ascoltammo l'insegnamento e meditammo, com'era solito dopo che il leone terminava il ruggito rivelatore. Di bocca in bocca il verbo e le parabole si diffondevano e acquistavano santità, il Buddha e la dottrina venivano conosciuti nel mondo.
Nel brusio silenzioso delle declamazioni, salii sino all'enorme anfratto sinistro e feci riecheggiare la mia vocina nella luminosa cavità cartilaginea, interrogando se non avesse il Maestro egli stesso il potere di indirizzare le vite sulla via della rettitudine. E Lui rispose: “Giovane pulce amica mia, rimane comunque, nonostante quasi impercettibile, una flebile lucina sempre accesa, un filino coerente che anima ognuno di voi e lo caratterizza, lo dirige. Nulla é in mio potere, se non il sapere, e in virtù di questo sono giusto e buono. Voi assopiti avete bisogno di credere per agire: sebbene abbia pietà e misericordia di voi, nulla posso e soltanto da voi stessi può partire lo slancio verso il vertice della ruota; altrimenti vi é la pervertita deriva, che moltiplica a non finire le espiazioni, condannando alla sofferenza perpetua del vivere”. Così disse, e dopo aver compiuto atti di generosità e altre buone azioni, quando il suo tempo fu compiuto, raggiunse le regioni celesti.
Ora soltanto posso rimembrare che in quella vita ho avuto il raro privilegio di incontrare il Buddha, che la via verso il Nirvana mi era stata mostrata e stava a me seguirla o meno.


Nato brammano al tempo di Brahmadatta re di Benares, ho avuto in moglie una donna così dolce che le sue urla, un giorno, distrussero l'intera città. Sotto le macerie, vivi per miracolo, tra le lacrime e la polvere mi disse ti amo.

Quando le neonate borse colavano a picco, presi in moglie una donna bellissima, ma sciagurata: l'avevo presa che c'aveva il pallino del femminismo. O, per meglio dire, da un certo momento non le andò più giù che io avessi il pene. Le consigliai come sfogo alle voglie da dominatrice di provare con esperienze lesbo, indossando quelle cinture fornite di protuberanza rigida che uscivano appena sul mercato e che avrebbero avuto enorme successo in seguito, chissà con qualche altra casalinga disperata, moglie di u altro agente di borsa a Wall Street, insoddisfatta e lacerata dalla noia. Ben presto capii che chi voleva inculare ero essenzialmente io.

Al tempo del rientro dei Borboni a Parigi, sono stata una donna che cercava negli uomini comprensione per le difficoltà, sostegno per le precarietà e protezione per i pericoli che questa esistenza porta con sé; son sempre rimasta indifferente all'esteriorità, all'estetica del sentimento amoroso, ho sempre badato alla sostanza. E se avessi continuato così, se non avessi trasgredito con quell'ebano nerboruto marinaio dei Caraibi, solo per la vile libidine, non avrei lasciato la gestione del bordello più rinomato di Marsiglia per crepare di sifilide, tra atroci dolori, in un lazzaretto in mezzo agli appestati. 

Sono rinata cattolica una volta. Fervente cattolica. Ma non per questo ho mai disdegnato la compagnia di uno o più uomini, almeno da quando sono venuta a conoscenza di un loro particolare molto simile ai rubinetti e agli ortaggi che tanto mi hanno appagata nell'adolescenza. Un desiderio, quello di possedere gli uomini, rinvigoritosi con il delinearsi meglio delle mie curve, e divenuto insostenibile e ossessivo non appena, con l'immagine pia e inaccessibile che mi sono dipinta addosso, ho notato di essermi tramutata nella preda più ambita dai maschi, fossero essi miei coetanei, padri dei miei coetanei o parroci dei miei coetanei. L'illibatezza sino al matrimonio l'ho aggirata occupando semplicemente le restanti vie d'accesso: spesso nei bagni di locali pubblici ed istituzionali, in orari d'ufficio, o in utilitarie sperdute tra i campi, nei pomeriggi dopo il catechismo. La carne é debole, ma ci si può sentire in colpa più comodamente qualche giorno dopo, durante la confessione. Ai ventiquattro anni mi hanno data in sposa al figlio dell'ex-democristiano più suffragato della circoscrizione; un bel matrimonio, sfarzoso fu il viaggio di nozze. Poi due anni circa di ecchimosi e ricoveri per traumi vari, da giustificare ogni volta con progressiva fantasia per non compromettere me e il padre di lui... fino a che un ragazzetto strafatto di anfentamine non mi ha investito in pieno sulle strisce con il suo Booster privo d'assicurazione, mentre ritornavo a casa dalla messa domenicale. Proprio quando stavo ultimando le pratiche per l'annullamento alla Sacra Rota: lui era impotente e l'unione non s'é consumata. Sono morta vergine lì sulla strada, come la madonna.   

Per un breve periodo, non so dove negli innumerevoli posti in cui ho vissuto, ma é certo che fosse in un tempo in cui i costumi e i canoni sessuali rappresentavano la paccottiglia impolverata nascosta nella soffitta della morale, ho frequentato una tipa con una tale carica sessuale che mi addormentavo sempre ancor prima di andarla a prendere; provò a svegliarmi con un pompino una volta... persi il lavoro.

Ho avuto anche una parabola omosessuale, incastonata in una vita fino ad allora, e anche oltre, abbastanza irreprensibile: un flirt un po' controverso con il mio capufficio, in uno dei miei diversi lavori da dipendente scapolo del settore terziario. Mentre mi prendeva da dietro mi implorava pieno di godimento e voluttà di non dirlo a mia madre. E dopo mi faceva pulire pure la scrivania.

Mi capitò di andare con la bidella della mia scuola, la seconda volta che sono stato molto giovane. Ci demmo l'appuntamento alle 18.00, ovviamente lì dove la passione proibita ci sedusse: davanti a scuola. A mia madre giustificai l’uscita con il classico quaderno da restituire al compagno di banco per i compiti dell'indomani. Ricordo di aver atteso il suo arrivo soltanto qualche minuto al freddo gelido stepposo, ma abbastanza per rischiare grosso nel recupero dei miei testicoli acerbi rannicchiatisi oltre i buchini del bacino, cercando di stiracchiare la sacca scrotale accartocciata e sgonfia. A bordo di una Trabant verde militare mi condusse a casa sua, in uno di quei quartieri a cimitero con le palazzine di loculi. Mentre mi spogliava mi confessò che le piaceva farlo davanti alla finestra. Già scombussolato per quella faccenda dei gioielli di famiglia, il mio disagio aumentò di molto in seguito a quell'insolita preferenza, io che ero ancora straniero dei vicoli bui della perversione, e mi rese una molla quando dovetti nascondermi con un guizzo felino dietro le tende, non appena scorsi il mio maestro di storia e studi sociali che scattava foto dal palazzo di fronte.


Sto guardando e passando in rassegna le mie vite a dir poco disordinate, perché é da che fummo violate io, Onfale e le altre dall'empio lidio, che s'é dispiegata la lenta e inesorabile peregrinazione all'indietro. Alla maniera di un sutra che si srotola al vento, le vedo svolgersi frenetiche, eppur limpide. Il disordine e l'insoddisfazione sono state le costanti che, dopo il santo incontro, m'hanno afflitto per le tutte le seguenti tappe della trasmigrazione, che tutt'ora non accennano a lasciarmi in pace e aumentano la loro insistenza, perseguitandomi e pungolandomi per mezzo dell'imperitura frustrazione: la pena, questa nemesi, inflittami, che più vivo e più non riesco a redimermi. Allontanandomi ad ogni giro di ruota, sono arrivato a lambire i limiti della lussuria, e vi ho indugiato così tanto da trasbordarli e perdermi definitivamente alla deriva. Continuo senza sosta nel vizio, ormai irrinunciabile, vitale, che come calamita mi attrae: pure se all'apparenza possa risultare che venga costretto, stride la dubbia casuale puntualità con cui si attuano i miei traviamenti, come quando rinacqui nel più splendido esemplare di alano maschio alla corte del macedone Selenco I, l'unico di tutto l'allevamento a non venire mai ceduto come dono ai regnanti alleati, perché trastullo personale del laido monarca, affascinato dalle dimensioni importanti e dalla suscettibilità spiccata del mio fallo. Una tra le esperienze più umilianti del mio passato.
Abitudine al vizio che porta all'assuefazione, e dunque a spingersi oltre, verso il crimine, andando a saziare impulsi via via sempre piú sotterranei e spaventosi. Una via percorribile potenzialmente da chiunque, se é vero che in una vita, assieme ad un parroco di paese adescavamo quindicenni per la via, per seviziarli e trucidarli, guadagnando milioni col mercato nero degli snuff movies.
Non riconduco le mie disgrazie ad una causa primigenia, individuandola magari nelle infinite delusioni di una vita d'amori, per gli abbandoni subiti nelle cittá piú romantiche, per i tradimenti scoperti, per gli ingoi negati. Nella mia immensa ma estemporanea saggezza ho scoperto quanto siano insulse e prive di senso questo tipo di giustificazioni, o meglio quanto lo sia il giustificarsi stesso: invero, non ci si puó mai pentire di alcunché.
Di provato c'é che gli esseri umani non ho mai saputo come inquadrarli a seconda di come fanno l'amore, forse perchè non prestavo loro molta attenzione: spire tentacolari mi agguantavano per trascinarmi nel miele, accendendomi della più lasciva passione. Sono stato in vita così egocentrico da non preoccuparmi di nient'altro che del mio godimento, arrivando persino ad umiliarmi per questo difetto. Perché, difatti, non sono mai riuscito a negarmi in maniera netta e convincente. Molto spesso é stata quieta acquiescenza verso i peccati che andavo a commettere o subire. Il piacere, il godimento mi coglievano invadendomi e alimentandomi in entrambi i casi, e non ho mai potuto prescindere da ciò. Un incosciente egoista, perché cosciente solo di essere in mezzo ad una massa di egoisti: sarà questa la colpa di cui non riesco a liberarmi?

A quest'ultimo giro, ho pagato a caro prezzo il tentativo di fumarmi un cubano col culo. L'ufficio immigrazioni mi ha beccato al volo.
Il carcere di massima sicurezza mi ha abbrutito; dopo quindici anni di saponette in culo e di piattole in bocca, la prima notte da uomo libero avevo intenzione di passarla a briglie sciolte, a sbronzarmi sino a svenire e magari morire nel mio stesso vomito. In una bettola di periferia sono stato avvicinato da un coiffeur tutt'uno con il suo costumino bondage di pelle, che mi mormorò qualcosa all'orecchio. E son passati in un baleno un paio d'anni, quando inspiegabilmente la fiammella s'é ravvivata di colpo e ho sfiorato per un attimo con le dita quel filinino finissimo di coerenza... mentre cacavo con una corda al collo in faccia a una paralitica sessantenne ricchissima, mi sono sparato un colpo in piena tempia.

Ora é arrivato il momento di andare, il mio break é ultimato e stanno estraendo i numeri...

AUTORE: PRF

21/09/11

PROFONDA ROMANTICA INCOMPIUTA

Nel seminterrato del palazzo Mardumi stava un piccolo appartamento, dove... no, non lo so qual'era l'appartamento, non ci sono mai stato e neanche so di nessuno che mai ci si sia trovato davvero, ormai da troppo tempo tutti hanno dimenticato dove fosse e quale fosse il campanello in questione. E del resto non ha importanza, perchè tanto la storia non parla del palazzo, o forse meglio parla di un non palazzo...

Comunque, viveva un uomo, sordo come una nuvola e dal pensiero leggero come il mare, che tutti chiamavano Nathan, il pazzo, perchè un po' per scelta e un po' perchè tanto non capiva un cazzo, non stava molto in mezzo alla gente, e si era rintanato in quel sottoscala umidiccio, un po' discosto dagli altri appartamenti, che aveva in compenso un pregio unico: lì dentro lui era da solo. Non pensate che fosse un eremita, si impegnava anche, poverino, ogni tanto provava a parlare, a inserirsi in un discorso, discorsi facili, sempre uguali, da scala di servizio, ma va da sè che essendo sordo molto raramente azzeccava la battuta o perlomeno l'argomento giusto. E pazzo anche perchè a lui gli piaceva stare nudo. Che bei momenti, quando la portinaia non lo vedeva, a correre su e giù per le scale, sballonzolando in libertà, e che emozione sentire i primi passi giù sul pianerottolo, e correre, correre a casa con la paura di essere scoperto...

Era fatto così, andava in giro bello contento a palle all'aria, ma fatto sta che un po' gli dava fastidio che tutti incontrandolo gli urlassero " COPRITI!" e "VERGOGNA!!!" e alla fine anche quando si copriva gli sembrava sempre che parlassero male di lui.

Qualche piano più su, nello stesso palazzo, viveva una ragazza che si chiamava Estai.... eh, anche il nome vero in realtà non si sa, perchè il giorno del suo battesimo, quando il padre le aveva dato il nome, non appena in chiesa la immersero nell'acquafonte, la bambina incominciò a parlare. "MIRACOLO!!!" "MERAVIGLIA!" Erano tutti contenti, e intanto la bamina continuava a parlare, avava iniziato allora e non smise più. Quindi il suo nome fu subito dimenticato, perchè dopo pochi giorni tutti, mentre le erano intorno, partivano con: "E STAI un po' zitta, cazzo!" e questo fu il nome che la piccola imparò. Essendo un po' scomodo e troppo lungo, le rimase il nome di ESTAI.(Le donne della sua famiglia stanno ancora ringraziando il cielo perchè a nessuno era venuto in mente di dirle: "CAZZO, STai un po' zitta!!", e si capisce che avrebbe vissuto ben peggio).

Estai era bellissima, fresca, gioiosa, ma era nata cieca. E poi ovviamente rompeva un po' i coglioni perchè non stava mai zitta, era anche impossibile risponderle perchè parlava sempre.

Comunque, un brutto giorno il C. C. A.(Comitato Condomini Associati) decise di cacciarla dal palazzo, perchè nessuno riusciva più a sopportarla. Il piano per liberarsi di lei fu deciso, crudeltà infinita, (però pensiamo anche a lui, anni e anni senza un secondo di silenzio) da suo padre, che così parlò: "Allora, Estai è tanto buona e gentile, se io le chiedo una cosa, di certo la farà: la manderò a prendermi le sigarette in piazza, così si perde, non trova la strada per tornare a casa, e tanti saluti!! Cazzo che idea eh? I Fratelli Grimm a me mi fanno una sega!" (era molto fine il padre di Estai). "Mandiamocela di notte, così si perde meglio!" esclamò il Presidente. "Ma sei coglione, tanto è cieca!" disse una voce, e il Presidente fu destituito. Cammina cammina, la ragazza si avventura per le scalette della palazzina, arriva in fondo e gironzola chiedendo per il tabacchino una decina di minuti, ma poi, per il bene della storia, scende una scaletta e dove va finire? Eccola lì che si schianta contro la porta del seminterrato di Nathan, che però ovviamente non la sente. "Scusi scusi ma io son nata così cosà, poi dovevo andare a prendere le sigarette per mio padre che... ma lo sa che mio nonno c'aveva un cappello che poi......" e giù a parlare...

Si allontana un pochino, vaga tondo a tondo, ma gira che ti rigira, saliscendi per scendisali, davanti a quel bugigattolo ci si ritrova un'altra volta. E si schianta nella finestra, si strabalta sul tavolo che si rompe in due, fa cadere una lampada che dà fuoco alle tende e pesta un piede a Nathan, che finalmente se ne accorge, tira giù un paio di bestemmie e spegne l'incendio.

Poi si volta verso l'ospite dall'entrata ad effetto, e la guarda estasiato, lei sembra un angelo, meravigliosa, una stella caduta dal cielo. "Tanto! quell e tende, mi faceevan ; schifo" [Peccato che al momento giusto non ti vengano mai delle battute decenti.] E intanto Estai giù a parlare, "della nonna che aveva le tende anche lei ed eran fatte così cosà...." "Scusi sa ma se parla, così veloce, non: le sto? dietro. sa, io ! son sordo!!" (Da sordi non è mica facile metter la punteggiatura nel discorso diretto). Nathan cercava di starle dietro, di sembrare brillante, eppure 'sta ragazza gli sembrava così strana... "Ma lei è cieca! Mi sembrava,, una scelta particolare' la capriola dalla finestra..." abbozzavava un approccio, ma era tutto era così strano, l'atmosfera permeata di sentimenti mai provati, odore come di macchina nuova, incarto di cellophane del suo amore intatto ed integro, puro respiro. E poi si guardarono, cioè lui la guardò e lei lo annusò e ascoltò il suo respiro e immaginò il suo volto.

"Se è sordo, lui di sicuro non mi odierà se parlo sempre! Ed è così gentile!" e, pensandolo, si avvicinò a lui.

"Se è cieca, non mi romperà i coglioni se sto nudo!" pensò lui.

E le prese la mano.

All'improvviso le loro anime si fondono e lei vede con gli occhi di lui e lui sente con le orecchie di lei, e lei tace e lui parla e lei ascolta e se per tutta la vita lui aveva sbagliato argomento adesso lo azzecca come nessuno c'ha mai azzeccato, e il suo cuore batte un amore infinito fatto di terra di fuoco e di mare e le sue parole lo gridano in rima in prosa in poesia, e non c'è mai stato un discorso più bello, nè mai ne verrà uno uguale.

Cadono a terra, stremati, sfiancati da una gioia troppo grande perchè il cuore la possa sopportare, da un amore troppo perfetto, istantaneo.

Quando si svegliarono il mattino dopo erano ancora intorpiditi, inebriati da quell'amore perfetto, dalla sensazione che aveva lasciato sui loro corpi, rendendosi conto con meraviglia che, alla fine, avevano ancora le mani intrecciate, e ancora lei vedeva e lui sentiva.

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[Manca del testo, nota dell'autore, o N.d.A. se preferite, ma fatto sta che ancora non me la sento di rinchiudere in uno "svolgimento" 'sti due personaggi. Gli ho dato un inizio, li ho fatti incontrare e senza nessssi logici li ho uniti, ho addirittura pensato una fine, ma non chiedetemi come sia andata da qui in poi, perchè da quando sono usciti dalle pagine di un quadernetto bianco per finire nell'infinito delle storie possibili li ho un po' persi di vista, o forse, più probabilmente, non so ancora scrivergli un motivo. Dunque, sapendo più o meno come va a finire, in qualche modo vi ci devo portare lo stesso, e allora qui l'inesperto autore deve lasciare spazio a te, o lettore, per colmare una fantasticamente colmabile lacuna nella quale tristemente, per volere o per sfortuna, per battaglia o per amore, si disgiungono le mani dei nostri due, e come uno sentiva e l'altra vedeva, uno torna a non sentire e l'altra torna a non vedere.]

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E ogni notte, nel letto, si tengono stretti, e si danno la mano.

Uno non sente e l'altra non vede.

Ma fanno all'amore lo stesso.

PICCOLO PASSO SULLA BIODIVERSITA’



Quanto poco si sa del Minotauro! Che avesse un nome vero, Asterio, quasi non è preso in considerazione. Il fatto che la sua mostruosità fosse dovuta a un peccato commesso da sua madre, per il quale lui non aveva colpa, sembra non avere importanza. Invece tutto si conosce del suo Labirinto, e ancora di più affascina lo scontro tra lui e Teseo, l'eroe mandato a sconfiggerlo. E questo è il racconto di come andò il combattimento, l'incontro, la sfida tra il bello e la bestia.

In pratica un

PICCOLO PASSO SULLA BIODIVERSITA’

“Non saprei dire da quanto tempo stavo vagando nel labirinto. Dedalo aveva fatto davvero un buon lavoro, il palazzo di Cnosso era un luogo irreale, dove si perdeva ogni concezione di spazio e tempo. Potevano essere giorni, mesi, anni, vite che mi trovavo là dentro… L’incontro arrivò quasi per caso: mi era già capitato di sentire quella bestia assetata del mio sangue respirare di là da una parete, in quelle occasioni il mio cuore aveva cominciato a battere, sempre più forte, sempre più forte, un tamburo di guerra che mi rimbombava nel petto… Non sapevo se anche lui mi avesse sentito, il suo respiro era rumoroso, affannato, ansimava per l’emozione dello scontro imminente; io invece mi muovevo elegante, anche quando le vene pulsavano per l’adrenalina il mio respiro era regolare. Del resto, mi era già capitato di combattere mostri come lui: ero sempre uscito vincitore dagli scontri senza nemmeno impegnarmi, a volte mi divertivo persino a battermi senza usare le mani, così, per gioco… No, era inutile ingannarsi, stavolta sarebbe stato diverso, una strana sensazione pervadeva il mio nobile spirito: quello che mi aspettava sarebbe stato il mio ultimo combattimento, l’avversario era troppo forte, ed avevo la netta sensazione che qualcuno mi avrebbe tradito… Avevo letto molte storie su quella bestia, si divertiva ad uccidere, combatteva per divertimento…ma del resto non facevo io lo stesso? Forse noi due non eravamo così diversi, dopo tutto… Forse avevo ancora una speranza di vittoria. Senza dubbio avrei combattuto con onore fino alla fine. Sarebbe stato il più grande dei duelli, degno di essere ricordato al fianco di quello avvenuto sotto le mura di Troia. Poco importava il vincitore, avrebbero scritto storie su di noi!

L’incontro capitò quasi per caso: ormai conoscevo bene il labirinto, e avrei giurato che quello fosse un vicolo cieco; invece seguendo lungo il muro il suo odore (un odore forte, di legno, di sangue rappreso, di sudore e paura, misti ad un odore familiare che non riconobbi subito) ci ritrovammo finalmente faccia a faccia. Non fu uno scontro leale: io ero un combattente valoroso, ma lui sembrava non conoscere regole… Non fu uno scontro leale… Schivai con facilità il suo primo colpo, credevo di essere molto più veloce di lui, e mi portai dalla parte opposta del corridoio per tentare una carica. Ma avevo sottovalutato il mio avversario, non ebbi il tempo di girarmi che lui mi fu addosso, ringhiante, con la bava alla bocca, bestemmiando il mio nome. Vacillai un momento per la paura, e solo un attimo prima che vibrasse il colpo riuscii a vederlo bene. Era davvero mostruoso: ci assomigliavamo nel corpo, ma la sua testa era orrenda, minuscola, senza corna, coperta solo da pochi peli biondi; la sua pelle non era spessa, i suoi occhi non brillavano della luce che splendeva nei miei, eppure aveva sconfitto Asterione, il grande.

Ero sconfitto, ma il mio Labirinto mi avrebbe vendicato: non ritroverai la strada, Teseo!

Solo mentre il mio cranio si fracassava sotto il colpo potente della sua mazza colsi il bagliore dorato nella sua mano: da lì veniva l’odore così familiare, l’odore di mia sorella Arianna.”

20/09/11

Il giorno in cui la Svizzera invase l’Europa (ovvero l’ambiguità dei referendum)

Nel 2011 andava di moda pensare che il Mondo sarebbe finito il 21 dicembre del 2012. Lo dicevano i Maya, Roberto Giacobbo, i complottisti, i giapponesi, Hannah Montana, il tenero Gigione, alcuni esponenti dell’Udc e l’impiegato delle poste, quello con il riporto, gli occhiali spessi e l’alitosi. All’epoca pensavo che anche il Papa fosse un po’ preoccupato, ma con mio grande dispiacere non fece mai outing.

Il 21 dicembre del 2012 arrivò, e non accadde nulla. Ci furono un paio di morti in una sparatoria a Napoli, un omicidio-suicidio nel padovano, un allarme bomba a Parigi e qualche buffa caduta dalle scale nel resto del mondo. Per il resto, tutto procedeva normalmente: le solite guerre, le solite polemiche sul debito pubblico, le solite schermaglie televisive, le solite risse nei bar londinesi. Il Mondo tirò un sospiro di solievo, Giacobbo cambiò mestiere (per un paio di mesi allenò la Sampdoria, ma venne esonerato e si diede all’import-export) e Vasco ricominciò a postare i suoi dannati “clippini” su Facebook. Passarono Natale, Capodanno, l’Epifania e persino il 17 marzo, quando alcuni scienziati e antropologi polacchi fecero una sconvolgente scoperta: la profezia dei Maya era stata tradotta male, molto male. Il testo originale, tradotto correttamente, era estremamente sibillino: “Il 21 aprile del 2013 la Svizzera invaderà l’Europa e instaurerà un regime di terrore e morte, riportando il Vecchio continente al Medioevo”.

Alla notizia seguirono le imbarazzate scuse degli elvetici: il presidente della confederazione si premurò di rassicurare gli amici europei con un discorso in diretta sulla Bbc: “Noi svizzeri siamo persone per bene, non abbiamo nessuna intenzione di invadervi. Il nostro esercito è composto da capre, mucche e da quei pagliacci che fanno la guardia al Papa, credete davvero che potremmo attaccarvi?”. Tutto sarebbe andato per il meglio, se non fosse per la bizzarra abitudine degli elvetici di ricorrere ai referendum per qualsiasi cazzata. Fu così che un parlamentare ticinese propose di far scegliere al popolo: come si sarebbe dovuto comportare il Paese riguardo alla profezia? L’animo guerresco e tutt’altro che pacifico degli svizzeri si rivelò allora al pianeta in tutta la sua schiacciante forza numerica: il 98,7 per cento degli elettori si espresse per un immediato attacco all’Europa, mentre il rimanente 2,3 per cento si limitò a disegnare una svastica sulla scheda.

Il giorno seguente misteriosi camion targati Iran e Corea del Nord, con una misteriosissima scritta sul fianco (ATOMIC BOMB INSIDE, PLEASE DO NOT TOUCH) furono avvistati dalle parti di Como, diretti a Lugano. La mattina del 21 aprile le maggiori città europee furono spazzate via da devastanti esplosioni nucleari, e milioni di mucche pezzate e di bionde contadine con le trecce, armate fino ai denti, occuparono l’intero continente. L’Europa si arrese immediatamente, ed entrò a far parte della Confederazione come Canton Europa. L’occupazione durò sedici anni: sedici anni di cioccolato, città ordinate, prati ben curati, regole rigide,treni in orario e mucche in ogni dove. UN INCUBO! Fortunatamente e finalmente gli europei si ricordarono che, essendo diventati a tutti gli effetti cittadini elvetici, avevano in pugno l’arma più devastante dell’umanità, il ricorso al referendum. Si andò a votare, di nuovo, e circa trecento milioni di cittadini chiesero ed ottennero la separazione dalla Confederazione. Fu un giorno di festa per il popolo europeo, e una sconfitta morale per la Svizzera, che per ripicca fu circondata da una muraglia di sterco di vacca progettata da Renzo Piano.

Questa è la storia di quello che accadde tra il 2013 e il 2029, gli anni più noiosi della mia vita. Che cosa mi ha insegnato quello che è successo? Niente, a parte che il referendum è un’arma a doppio taglio, che le vacche puzzano e che è meglio non fidarsi delle apparenze.

P.s.: Questo racconto è dedicato al popolo svizzero, a cui voglio molto bene. Se aveste intenzione di invaderci, sappiate che io sono con voi! Un abbraccio dal vostro amico ed estimatore italiano

AUTORE: SPECK

Lo spettro del fumo


Cristoforo Colombo era una persona estremamente antipatica, puntigliosa, arrogante, pignola fino all’eccesso, senza il minimo senso dell’umorismo, ottusa e pedante. Insomma, era un po’ uno stronzo. Oggi quello stronzo è considerato un eroe, un genio, un visionario, e addirittura una nazione intera, la patria dei narcotrafficanti, porta il suo nome. Ultimamente ho avuto la sfortuna di imbattermi in questa odiosa pubblicità in cui un attore con un naso importante lo fa passare per un simpaticone. E lo sterminio dei nativi americani? Se lo sono dimenticato tutti? D’accordo, la colpa è sua solo indirettamente, ma io mi ricordo di come trattava i cosiddetti “indios”, neanche i nazisti con gli ebrei erano così stronzi (continuo a ripetere questa parola e mi scuso con i benpensanti, ma non riesco a trovare un termine migliore). La Storia, quella con la esse maiuscola, è stata generosa e magnanima con lui, e si è dimenticata di me. Nessuno sa chi sono, nessuno conosce la mia storia, nessuno mi ferma per strada per chiedermi un autografo o per stringermi la mano. Eppure molte persone che incontro ogni giorno sarebbero diverse se io non fossi mai esistito. Forse starebbero meglio, forse i loro polmoni sarebbero meno marci, forse non avrebbero quella fastidiosa tosse, ma non è questo il punto. Io ho cambiato il Mondo, e nessuna Barbara D’Urso mi ha mai telefonato per chiedermi di fare una comparsata televisiva. L’avessi saputo al tempo, avrei scaraventato Colombo giù dalla Santa Maria, mi sarei diretto con piglio deciso al timone, avrei gridato “AMMUTINAMENTO” ai miei compagni, e oggi la Colombia si chiamerebbe Jerezia.

L’avrete capito, il mio nome è Rodrigo de Jerez, sono stato il primo fumatore europeo. Su Wikipedia potete trovare alcune informazioni su di me, ma incomplete e inesatte. Tanto per cominciare, nessuno si è preso la briga di scrivere la data di nascita e di morte, inoltre io ad Ayamonte non ci sono mai nemmeno stato, ero di Huelva (e ci tengo a precisarlo). La cosa che più mi fa arrabbiare però è quel “si dice che sia stato lui il primo fumatore di tabacco europeo”. Si dice? Ma mi prendete per il culo? Studiate, informatevi, leggete! Ho moltissimi testimoni pronti a giurare sulle loro madri che sono stato davvero io, primo fra tutti gli europei, a farmi una bella sigaretta dopo il caffè (il primo bevitore di caffè era un nostro compagno di viaggio, Luis, adesso vive a Madrid e fa l’agente immobiliare). Cosa mi ha riservato il destino per il mio gesto rivoluzionario? Sette anni di carcere! Triste storia, la mia. Tornato in Spagna, passavo i pomeriggi a fumare (non c’era ancora la televisione a quel tempo), e quei maledetti bigotti dei miei vicini di casa, vedendo il fumo uscire dalla mia finestra, si spaventarono e avvertirono la Santa Inquisizione. Bussare alla porta di casa e chiedere con gentilezza il perché delle nuvole di fumo, no? Fatto sta che mi beccai la mia bella condanna per “attività demoniache”, e mi rinchiusero in una puzzolente prigione andalusa, tra assassini e truffatori. Per sette anni! Avete idea di cosa significhi passare sette anni senza sigarette? Dio, che rabbia! Quanta ingiustizia nella mia vita!

Uscii di prigione, e l’amara scoperta fu che l’abitudine del fumo aveva preso piede, e un mio concittadino su due fumava. Nessuno mi chiese scusa, cattolicissima e ipocrita Spagna della malora! Questo mi ha riservato la vita, come a volermi punire per aver fatto ammalare molti esseri umani altrimenti sani. La legge del contrappasso. Eppure anch’io avrei diritto a un po’ di notorietà, no? Forse sto delirando, e mi scuso, ma a volte vorrei semplicemente morire in pace, andarmene in una nuvola di fumo, e finirla una volta per tutte con questa anonima e grigia esistenza. Ma chi sono io per giudicare e per trarre conclusioni? Sono solo uno spettro, il fantasma che esce dalle vostre bocche ogni volta che vi fate una tirata.

AUTORE: SPECK