28/01/11

madonna cieca -parte terza


V




Ora, gentili lettori, senza alcun motivo apparente, introdurrò un personaggio. La sua caratteristica principale, come potrete osservare da voi, è che non è umano.
Alieno, se ne andava in giro armato di uno smaterializzatore calibro 9.
La sua missione, salvare il pianeta e fare scorta di Moretti.
Tale alieno, di nome Mary, intratteneva una sorta di relazione amorosa e clandestina con un essere umano, tale Moira.
Una specie di copertura.
Si bulleggiava di essere alieno come tanti personaggi famosi, quali Tom Jones, Obama, Berlusconi e Iva Zanicchi e se non gli si credeva, minacciava gli astanti con il suo calibro 9, anche se a volte mancava la presa e minacciava gli astanti con una boccia di Moretti.
Amava il ping pong, il calcetto (portiere), la Moretti, Moira (almeno così diceva in giro), e il suo smaterializzatore (ma nessuno glielo vide mai usare).
Diceva di venire da un atollo lunare, nei pressi di Torrita.
Mi riuscì bene una notte di sostenere una discussione con suddetto Mary insieme a Debby, già dileguatosi nei pressi della jungla del sabato sera, attorno all’esistenza dei numeri impari, per poi passare all’emerito argomento delle bestemmie in campo straniero.
Era vero che gli italiani imprecavano a Dio e alla Madonna in quantità maggiore rispetto a russi, francesi, inglesi,indonesiani o turchi? Ma gli alieni del satollo lunare di Torrita bestemmiavano? E come? Quanto?
Più di noi italiani?
-Madonna cieca in una valle di spigoli!
Attebasile ci sorprese con una bestemmia carpiata del terzo tipo. Non era certo la prima volta che si distingueva fra la folla. Nel frattempo, infatti, si era già cosparsa gli abiti di Braulio.
-Cavolo ragazzi! Per ripigliarmi da un giovedì sera mi serve un intero fine settimana…così non va bene per niente!
Ciondolò via.
La discussione con Debby e Mary proseguì per altre sette ore, senza raggiungere un risultato soddisfacente. A dire il vero la contesa si spostò sulla questione se lo smaterializzatore di Mary fosse realmente un calibro 9 oppure qualcosa tipo un liquidator.

Il giorno dopo, al risveglio, in camera mia pareva fosse esplosa una bomba.
Panna era pronta a mostrarmi il vestito da lei cucito.
Nel giro di pochi giorni, poco più di una settimana, si sarebbe verificato l’evento che avrebbe completamente cambiato la vita della coraggiosa sarta: la sua sfilata di moda.
Pisa, alta classe, ma è uno sballo! Spremute d’arancia e bicchieri di cristallo! Pieno centro storico, eleganza allo stato brado; donnine in ghingheri all’ultimo grido piene di prosecco.
Panna, in veste di ambasciatrice di se stessa, avrebbe dato vita a un nuovo corso stilistico, preannunciando una più affascinante epoca dell’alta moda internazionale.
Era però ancora presto per parlarne; sarebbe ancora dovuto accadere.
Nel frattempo, serviva anche a me un fine settimana per riprendermi da un giovedì sera.

Coupè, anch’essa con gli abiti cosparsi di Braulio, scorse in quello che, ahi!lui, era un piccione morto, una rana viva e gigante li lì per zomparle addosso dotata di una aggressività mai vista da essere umano, esploratore che fosse, aggredendola con zanne roboanti e squame velenose.
Dalla cornetta del telefono suggerii di saltarla e poi entrare in casa, semplicemente. Oltretutto, ad averlo saputo prima, era comunque morto.
Dotato di innumerevoli capacità di trasformazione  però, questo animale incuteva a Coupè grandi timori e preoccupazione, in quanto la bestia diveniva ai suoi occhi prima rana assassina, poi coccodrillo delle paludi di sabbie mobili, drago sputa fuoco e infine uno Spitfire.
Quella che alla mente ribaltata come un k-way della giovane protagonista appariva oramai come una guerra in stile ottocentesco, rischiava a quel momento di frantumare la sua già instabile percezione della realtà, costringendola alla fuga e alla richiesta di aiuto.
Giunse allora Mary, armato di tutto punto con solo una boccia di rum al posto dello smaterializzatore, a salvare la sventurata.
Versò il rum sul piccione morto e gli diede fuoco, così, in mezzo alla via.
Leggende del luogo suggeriscono che Mary fosse arrivato volando.
Anche il piccione, però.

Il giorno dopo la discussione sui numeri impari di Debby fu invece all’insegna del sonno.
Gli capitò di sognare di come sarebbe stata la sua vita se quindici anni fa durante le festività natalizie fosse stato meno cattivo; una specie di favola di natale di Dickens, con lo spiritello che ti porta in giro a guardare dalle finestre dentro le case altrui.
S’era sognato a capo di una azienda produttrice di pace, merce ridotta a mero bene di consumo, acquistabile. Il mondo in sempiterna guerra ruotava attorno ad un unico essere umano in grado di garantirne la continuazione, seppur con la pace. Se non c’è pace non c’è da far guerra perché, senza una valvola di sfogo, la belligerante arte umana più abbietta non riesce ad esprimersi.





VI
(BELEZA ES TU CABEZA)




E mi venne voglia di andare all’estero; mi colse in piena notte.
Una strana e ripetitiva e ridondante voglia in formato bisogno che colpisce un italiano su uno; quelli che non la subiscono mai si contano sulle dita di due dita.
L’ultima esperienza in terra straniera risaliva ormai a cinque o più mesi fa, in Spagna.
Un viaggio che merita un riassunto.
Partivo con questo oroscopo:

In questo mese tutto procederà a gonfie vele, poiché tutti avranno qualcosa di positivo da raccontare alla fine di questo Agosto di vacanze! Non abbiate paura di farvi avanti, anche nelle situazioni più impensabili, perché è il momento giusto per provare nuove sensazioni e per mettersi in gioco da questo punto di vista!

Aveva ragione.
Peccato che non avesse previsto lo sfacelo di ogni tenerezza di lì a un mese, con il placido zampino di tesi di laurea, nervosismi e psicomitomani arrivate al momento e nel posto sbagliato, con strane pretese sulla mia persona e sul mio amore. Come ho già detto, amo chi mi ama, odio chi mi ama troppo.
Ma torniamo al viaggio.
Io, Enawinehouse, Cinderella, Ronson Rosalia Watson, Vucinic e Camomilla partivamo da Orio al Serio, atterraggio a Valencia, dove avremmo dovuto cercare Carrer del music Hipolit Martinez, 10, indirizzo dell’amico un tempo conosciuto come Pierpa e ora riconosciuto come El Gordo.
Agosto sfogava tutto il suo terribile calore sulla nostra carovana di bagagli e persone. Il caldo faceva salire dalla città tutti gli odori dell’estate, non sempre piacevoli, costringendoci inoltre a lunghe pause fra una gita e l’altra, o a eterni riposi in casa del Gordo, assetati di anguria e melone bianco, creando sfide all’ultimo sangue per il cruciverba sul tavolino di vetro.
Jefferson Airplane nello stereo, sulle pareti poster di Reservoir dogs, Los Delinquentes, Scarface, Muchachito che presentava su nuevo disco, una mapa dels paisos catalans, un disegno di Snoopy sparato nel cielo, protetto solo da un casco da bici.
Fuori dalla finestra, Valencia, riflessa in uno dei suoi palazzoni anni ’60, bianco, terrazzato, e i panni ad asciugare.
Placa de Benimaclet, Barrio del Carmen, Placa de la Virgen, el Jardin del Turia, il Gulliver, Placa Adjuntament, de Sant Agustì, de Toros, si aprirono ai nostri occhi.
Noleggiammo delle biciclette e degli strani carretti a pedali all’alquiler de bicis, misurandoci con l’infinita lunghezza del Turia, fino alla Ciudad de las ciencias, rischiando di ribaltarci in un fosso pieno d’acqua.
Decidemmo per Barcelona come prossima meta. Salida a Valencia Norte, ore 6: 40, llegada a Barn. Sants, ore 9: 39.
Fui l’unico a perdere il treno, causa Salvezza, un ragazzo che cercava casa a Siena e che l’aveva trovata a casa mia proprio nel momento meno opportuno. Mi trovavo infatti a litigare con la Guardia Civil di Valencia per motivi ancora da stabilire (il mio sacco a pelo era risultato essere sospetto), mentre questo insistentemente chiamava.
In realtà il vero motivo per il quale persi la corsa fu la capocciata che presi la sera precedente, mentre litigavo con la brocca di sangria.
41, 10 euro di biglietto buttati via.
Raggiunsi gli altri con il treno successivo, ore e ore dopo, quando ormai Enawinehouse, indicibilmente provocata dal caldo, voleva a tutti i costi riposarsi all’ombra della Sagrada Familia.
La Pedrera ci accolse già stremati, il Barrio Gotico coraggiosamente decisi a vedere ancora la città, la Rambla ci distrusse, Barceloneta ci raccolse.
Il ristorante cinese ci accarezzò lo stomaco.
La notte si dormì a Barrio Gotico, al primo piano di un ostello, con le urla e gli schiamazzi di una città sempre viva che entravano prepotenti e felici dalla finestra. Non chiusi occhio per tutta la notte, ma mi sentivo consapevolmente cullato dalla frenetica vitalità umana. Ero serenamente colpito da quello schiaffo di colore e luce che si agitava fra il vetro aperto del nostro balconcino e la piccola via sotto di noi, trafficata, percorsa instancabilmente da turisti e catalani, sempre pronta ad accogliermi nel suo sciamare di uomini nel caso avessi preferito passeggiare piuttosto che tentare di dormire.
Il giorno dopo era il nostro ultimo giorno a Barca. Catedral de la santa Creu, Baixada de la Gloria, Parc Guell e il Portic de la Bugadera, dove un chitarrista suonava Stand by me, la Ribera, el Raval della Ciutat Vella, casa Battlò, Placa Catalunya, il Port Vell.
Come se fossi stato ancora lì, a cercare una fontanella dove riempire la bottiglia, a svoltare l’angolo per trovarmi faccia a faccia con un felafel, a riempirmi gli occhi con le case di Gaudì.
Impareggiabile.
L’odore di Barcelona, il suo colore, la sua gente, resteranno per sempre nella mia mente.
Soprattutto il felafel.
Impareggiabile.
Tornando, nella notte cullata dallo scorrere della corriera sull’asfalto, sostammo pochi minuti a Tarragona e a Castellon, anche se a noi parve di essere nel mezzo del nulla.
Usciti dalla stazione di Valencia, un Hummer limousine, qualcosa che non osavo nemmeno sognarmi, si fece le beffe di noi e della nostra giovanile bellezza, riflettendo sulla sua carrozzeria stralucida le nostre facce stanche e sconvolte.
In quelle vacanza trovammo il tempo anche per un po’ di mare. Destinazione Murcia, dalla quale saremmo partiti alla volta de La Manga, sul Mar Menor, assieme a Gusy (lui) e Roma(lei), due vecchi amici erasmus in toscana l’anno prima.
Più a sud si andava, più la canicola si faceva opprimente, opprimendo tutte le nostre energie.
Mangiammo molto pesce.
Dormimmo in spiaggia, risvegliandoci come se ogni ricordo della sera precedente fosse stato rinchiuso in una bolla; ricordare non era facile perché, si sa, se scoppiava la bolla, spariva anche l’aneddoto. Qualcuno avanzò l’ipotesi che avessimo sotterrato Cinderella, fino al collo.
S’era infatti svegliata faccia nella sabbia, in una buca.
La ricerca di un bar per la colazione non fu cosa facile, con l’opprimente calore che già dalle prime ore del mattino era calato, come una falce, sui turisti dalla pelle bianchissima. Ne trovammo uno affacciato sul mare verde e limpido, con molta ombra tutta per noi, adatto a smaltire ogni eccesso ingerito o perpetrato nella notte.
Ricordai che la sera prima, disteso col naso in su, pensai: -Guarda quanto cielo! E quante stelle…sotterriamo Cinderella??




13/01/11

Capodanno in casa Fettinho

A Capodanno nessuno faccia empie ridicolaggini
quali l'andare mascherati da giovenche o da cervi,
o fare scherzi e giochi, e non stia a tavola tutta la notte
né segua l'usanza di doni augurali o di libagioni eccessive.
Nessun cristiano creda in quelle donne che fanno i sortilegi con il fuoco,
né sieda in un canto, perché è opera diabolica
(Sant’Eligio, mastro orafo e monetiere, tra i tanti miracoli
quello di aver riattaccato la zampa ad un cavallo,
a metà del I sec. ammoniva così i popoli delle Fiandre
dal festeggiare l'arrivo del nuovo anno)

I.
Il 31 di dicembre per me non rappresenta una giornata esaltante, l’arrivo dell’anno nuovo mi mette ansia. Che va aumentando proporzionalmente all’avvicinarsi delle lancette a quell’ora fatidica, quando milioni di persone guarderanno davanti a sé carichi di speranze e rigeneranti voglie di cambiamento, benché si trovino, come d’abito, a trotterellare con i cappellini di carta colorata, in bocca i fischietti, in coda ad un trenino attorcigliato in se stesso, perché non sa bene dove andare, sotto una battente pioggia di mille colori, tra coriandoli, stelle filanti e fulgenti fontanine, baciandosi tra loro tre volte rigorosamente partendo da destra, a meno che non siano già occupati alla francese sotto il vischio, come trad/superst-izione vuole, mangiando lenticchie (le dicerie le vogliono un simbolo d’abbondanza) e cotechino (la cui esistenza sembra sia solo ed esclusivamente in funzione di quest’attimo insignificante). Penso che essi, intimamente, fingano di divertirsi.
Non credo, tuttavia, sia per questa ragione che mi sale l’ansia; piuttosto, per un malessere sepolto che si risveglia, e forse non sono il solo a provarlo: una frenesia atavica, che arriva dai recessi dell’intimo e mette tutto l’animo in fremito, in una nevrotica attesa dell’inevitabile. Forse è vero, è l’ansia del tempo che scorre, che saluta ad ogni momento con un addio, che si esaurisce. Perché, allora, tanto rallegrarsi, se si sta lambendo la morte?

II.
Il primo di settembre; il 21 di marzo; tra il 13 ed il 15 aprile; il 31 giugno; a metà novembre; il primo novilunio compreso tra il 21 gennaio ed il 19 febbraio; in Puglia il primo marzo; alcuni, come se non bastasse, l’11 settembre; gli olandesi il giorno del mio compleanno, ne sono lusingato; per gli islamici è indifferente…
Poi, i cattolici, da buoni capitalisti e col brutto vizio della globalizzazione, se ne sono usciti con il primo di gennaio, tentando addirittura di farla credere una loro invenzione il Capodanno:
urbs et orbis potranno insieme festeggiare il rigenerarsi del tempo e della stessa vita, nel segno della santissima madre; e l’ombra di un’immensa croce si distende sul globo coprendolo quasi completamente. Eppure, proprio mentre il buio sta diventando totale, che tutto tace in un sottofondo di cori liturgici, si accendono fuochi e luci, scoppiano petardi e marionette, sparsi nel mondo, a bucare il buio: alla mezzanotte un boato di sugheri e grida lacererà quel velo da est a ovest, una trottola spumeggiante e dolce nel cosmo. Avremo ragione noi a dire che i giapponesi comunque stappano sempre nove ore prima di noi e noi sei prima dei newyorkesi; ci prenderemo beffa dei porporati: Gesù era lui, un terrorista, e voi non siete un cazzo, evviva il relativismo!

III.

Il saluto al 2011 Eligio l’ha dato durante una festa nella villa di un suo amico, poco fuori la città. Una cosa improvvisata, l'ha chiamato solo tre ore prima per invitarlo. E a Eligio non è dispiaciuto per niente: la villa dista qualche km da Baghdad, tale da risparmiarsi l'odioso trambusto dei bombardamenti... perché il suo paese, come tutto il Meridione del resto, la notte del 31 dicembre piomba in una vera zona di conflitto, e dalle finestre la gente assiste ai bagliori degli ordigni, qualcuno quasi con fascinazione e orgoglio, qualcun altro provando addirittura vergogna delle sue insulse fontanine silenziose, comprate in cartoleria. E le tradizioni, se divengono abitudini, si attaccano, come funghi parassiti agli alberi, agli uomini, e non sarà la distanza fisica a salvarti da esse: pure in campagna si spara, qui anzi c'è la giustificazione della zona fuori mano, dove non si nuocerebbe a nessuno... come se un gatto, un passero o un topolino non fossero niente. E del resto, lo stesso Eligio s'è accorto ben presto della vanità di quella rassicurazione provata al telefono, raggiungendo in auto la villa, quando per un paio di volte è sobbalzato sullo sterzo all'esplosione di inaspettati tric-e-trac menati così, solitari per l'agro, dagli avamposti, come riscaldamento o assaggio della battaglia che tra mezz'ora avrebbero scatenato.

Eligio arriva alla villa che mancano venti minuti alla mezzanotte. Spegne l'auto e si avvia per il vialetto in ghiaia; di gran carriera si affretta, ha una gran voglia d'amalgamarsi col trambusto che proviene dall'interno dell'ampio magazzino al lato della palazzina ad uso abitativo, e vuol fare una bella entrata, chissà che qualche tipa non lo noti. Arriva ormai sull'uscio, appoggia la mano alla porta, ma... non riesce ad entrare. No che non riesca ad aprir la porta, ché non c'ha manco la maniglia, ma è il suo corpo che non va oltre: può far tutt'altro, saltellare, mettersi un dito nel naso, ma spingere quella dannata porta per andare a divertirsi, no. Si volta: e tutto il giardino è scomparso, non si riescono più a scorgere le macchine incolonnate nel parcheggio. Gli sembra di trovarsi avvolto nel fumo denso o in una nuvola, poiché tutto è ovattato intorno e i suoni rimbombano su un tappeto melmoso che li assorbe quasi totalmente, facendone arrivare all'orecchio solo le vibrazioni più basse, come può accadere sott'acqua. Eligio si confonde, scuote la testa, dove si trova adesso, in cielo o nel profondo degli abissi? Da quella porta, che è a vetri opachi, filtra una flebile luce bianca, che come pellicola si srotola sul vetro proiettando un film di ombre cinesi, col sonoro silenzioso e bofonchiante: scene di umanità festante, nulla più. E uno stridore, un'inezia impercettibile, ma che pian piano prende corpo e graffia l'orecchio. Cos'è?

Nel suo ridotto campo visivo entra un corpo peloso, tutto un fremito, che guaisce e abbaia ad intermittenza. Il cane da guardia del suo amico, un bel cagnone dal pelo lungo e pezzato. Eligio, però, se lo ricordava un cane mansueto, dall'andatura ciondolante e bonaria, uno di quelli che puoi lasciare a giocare con i bambini senza timore, tanto, anche se li pestano la coda, loro rimangono immobili alle innocenti sevizie; se lo ricordava con lo sguardo trasognato e spensierato, di chi non ha preoccupazione alcuna e si abbandona alla dolce noia. Se lo ricordava, insomma, un cane che prendeva molto più sul serio la tranquilla vita da animale domestico che quella sempre all'erta da guardiano, e come potergli dar torto.

Vuol dire che se lo ricordava male, evidentemente. Perché seppur col pelo lungo e pezzato, della stessa stazza e con lo stesso nome, il cane che gli si dimena accanto non è il Muffin che conosceva: nervoso e irruente, pure disobbediente, tant'è che sta tentando a più riprese di sfondare nella pista da ballo, ma puntualmente viene rispedito fuori. E nel gioco di apri e chiudi, Eligio viene trafitto da rapidi e caldi coni di luce e rumore dell'interno, dai quali, grazie agli instancabili tentativi di quel cane così tanto simile a Muffin, riesce a catturare alcuni particolari da integrare con le ombre gorgoglianti del suo film: musica a palla, ebbri passi di ballo, due derelitti afflosciati su una panchina in una posa degna di una Deposizione, gocce argentee frizzanti e impazzite fluttuano a mezz'aria immobili, a dilatare i tempi, bocconotti e calz'ngicchje spiaccicati in terra e sui muri da una blasfema furia iconoclasta. La festa è nel suo pieno, l'euforia per la morte del vecchio e l'ansia per il nascituro mischiandosi salgono in alto, verso il nero del capannone, o fors'anche oltre, nella notte tiepida del travaglio, in apnea per poi finalmente esplodere in orgasmi colorati, e crollare nel cielo, come nei salti ad occhi chiusi di alcuni di quei ballerini.

Alla fine Muffin ce la fa, riesce a sfuggire all'attento buttafuori e a riparare sotto la consolle del DJ. Ma non può restare mica lì, con i fili, il PC e il buffet: potrebbe far svoltare tutto in un troiaio. Hanno cercato d'adescarlo, di strattonarlo dalla collottola per farlo andar via, "Lo sa che lì gli è proibito entrare, è sempre stato un cane ubbidiente, perché mo' fa così?". Infine l'hanno spinto di peso, preso a calci, e chissà quante altre azioni più basse occultate nella confusione; molti sono intervenuti e l'espulsione dell'intruso è stata inevitabile. Eligio ha visto tutta la scena grazie al piede di un tipo che per tutto il tempo ha mantenuto la porta spalancata per agevolare l'espulsione. Il tipo ha pure fatto un cenno a Eligio, gli sembrerà strano che non sia entrato nemmeno un po' a ballare. "Che, hai fame?". La porta si chiude e ricade la penombra, ritorna il film; scaraventato sulla ghiaia, il cane, affaticato ma non esaurito dalla lotta, con la coda tra le zampe si accuccia ai piedi di Eligio, trascinandosi dietro un assordante respiro rotto e ansioso, che per tutta la nuvola non si è sentito più nient'altro che quello, eccetto naturalmente quel fischio acutissimo e leggero di cui non si sa ancora nulla. Il cane che assomiglia a Muffin ma invece é un altro continua a tremare. Gli occhioni buoni e sognatori rimbalzano di qua e di là sulle palpebre come impazziti, il portamento lento e cadenzato è diventato scatti veementi, quasi rabbiosi, forse esasperati: la paura, ecco cos'è!, gli ha teso le carni, affinato i sensi, ridestato da un remoto torpore l'istinto primo. Mancano due minuti alla mezzanotte.

Si spalanca la porta, tutta la balera inizia a defluire come un fiume in piena e a inondare lo spiazzale; con la fiumana si dissolve anche la nuvola prigione. Il tizio di prima si presenta a Eligio con un guandierone di rustici, dolci e frutta secca, invitandolo a servirsi. Hanno ballato tanto, si son scatenati, lo si vede dalle fronti lucide, che illuminano i loro volti. Una ragazza, appena uscita, non ha retto e ha ceduto prima alle emozioni della vita che nasce e s'è lasciata andare, e nonostante gli annebbiamenti alcolici, il resto della balera con cura non ha calpestato la sua commozione.

Quando manca un minuto, forse meno dice qualcuno, ma chi lo sa, chi mai potrebbe attestare l'ora esatta?!, dal fondo accanto iniziano le batterie di petardi e alti nel cielo in lontananza ci son già i salici piangenti colorati: nel mondo si festeggia, è nato il nuovo anno! Un convitato particolarmente euforico, glielo si vede dalle gote paonazze, afferrata una bottiglia di spumante, inizia a sbatterla per poi stapparla dimenandosi per l'intero spiazzale, con conseguente scompiglio generale per non venirne innaffiati; tralasciando se avessero ultimato o meno il rito di battesimo, un gruppetto già inizia a scambiarsi gli auguri. Ma in chi s'era messo diligentemente in coro per il count-down, una smorfia degli zigomi e lo sguardo smarrito tradiscono la delusione per quella superficialità di spirito: è andato tutto a puttane, un anno nefasto ci attende all'orizzonte, ch'è venuta a mancare la sincronia, l'unanimità! Con il tripudio tutto intorno e la nascita appena archiviata con l'etichetta di “passato”, con quel pazzo che minaccia di stapparle tutte lui le bottiglie, essi in un moto d'orgoglio hanno serrato nuovamente le fila e ripreso la loro attesa del loro nuovo anno e l'hanno coronata nel giusto modo, hanno gridato a squarciagola, spiaccicato in faccia al mondo i loro strafottenti auguri.

In tutto questo, Eligio ha avuto altro a che pensare, tutte le sue attenzioni le ha rivolte a quel pseudo-Muffin, che è sembrato gli potesse venire da un momento all'altro un collasso. Da sant'uomo qual è, ha colmato d'acqua un piattino per dissetarlo, s'è riempito le mani di qualsiasi cibo potesse essere accolto dal suo appetito, in modo da tranquillizzarlo e distoglierlo per qualche attimo dalla sua pena, ha fatto di tutto. E ha sorriso Eligio quando gli ha offerto pure il cotechino con le lenticchie, lui che non ne ha nemmeno sentito l'odore: sarebbe il colmo se quel cane diventasse ricco a suo discapito!

Ma Muffin, perché forse é davvero lui, no, no che non si è calmato, né tanto meno s'è ravvivato dalla speranza di ricchezza; quei botti lo hanno rintronato per tre ore abbondanti. Ogni primo di gennaio sempre la stessa storia, quel cane si sente morire e non ne conosce il perché.

Ed ecco che si svela l'arcano: quello stridore dalla ragione ignota, che qualche ora fa Eligio ha discretizzato dal flusso di rumore, non riuscendo inizialmente a collocarlo, e che gli ha invaso la testa per tutta la notte lasciandola libera solo alle prime luci dell'alba, non è mica un suono vero, bensì una sensazione, un'idea, prodotta da lui stesso, che forse ha concepito sotto forma acustica per un insolito fenomeno sinestetico, chi lo sa, non siamo ancora nell'epoca in cui si possano spiegare certe cose. Adesso soltanto, in casa buttato sul divano, dopo aver steso la stagnola ed aspirato gli effluvi rilassanti, col cervello a briglie sciolte Eligio, senza apparente sforzo, ma così naturale come se l'avesse saputo da sempre, si trova a sciogliere il significato di questa intuizione, colmandosi di tenerezza: poveri cuccioli, mentre tutti gli umani fan festa, per voi la vigilia di Capodanno è proprio una giornata di merda.